Chiara Bettazzi

COLLECTION

Chiara Bettazzi
Collection 2011/2013
CONTEMPORANEA FESTIVAL 2013
Ex Guarducci Prato


La serie di stampe fotografiche che danno vita a Collection (2011/2013) nasce come studio preparatorio del video Medical (2012) per poi divenire opera autonoma. Durante la ricerca intorno all’oggettistica medica, iniziata nel 2011, ho deciso d’immortalare fotograficamente gli oggetti trovati per dare vita ad corpus di immagini d’archivio.
Il risultato di questo lavoro ha invece assunto un’importanza tale da rendere l’insieme dei dossiers opera. I numerosi libri creati propongono infatti una visione parziale degli oggetti fotografati perché assemblano visivamente, come poi avviene invece matericamente nella realtà, elementi tra loro estranei. La composizione viene dunque percepita come fragile e frammentaria esprimendo metaforicamente quella sensazione che si prova di fronte alla visione di oggetti instabili e in equilibrio precario. Il progetto ha assunto un’importanza tale all’interno della ricerca da divenire un vero e proprio work in progress e l’installazione che presento qui, rappresenta l’episodio conclusivo di tutto il lavoro.
L’accostamento ripetitivo d’immagini di oggetti e dettagli corporei permette una continua rielaborazione visiva del concetto di sinestesia percettiva che permette un’analisi approfondita su me stessa delle diverse varianti del rapporto organico/inorganico, mostrando quello che definirei il sex-appeal dell’inorganico, ovvero un modo di interagire con l’oggetto in maniera diretta e scultorea.

L’installazione finale si compone di tre tavoli aventi ognuno una lieve illuminazione che rende visibili i libri protetti da un vetro sagomato su di essi. L’opera acquista un valore scultoreo, in quanto ogni oggetto è pensato in relazione all’altro.
Mentre il vetro diventa sia lente per la visione sia elemento scultoreo.


Mentre una proiezione sempre facente parte dell’installazione riproduce una serie di immagini scattate alla mia collezione di vetri chimici e farmaceutici. Il risultato visivo rimane nell’ambiguità, restando in bilico fra l’apparizione dell’oggetto e il suo fantasma, mostrando un ulteriorità dell’oggetto all’interno del percorso visivo dell’installazione.
Partendo dall’ambiguità di un’immagine che risultava dagli scatti fotografici realizzati posizionando l’oggetto su una lavagna luminosa e riproiettandolo quindi sul muro, l’oggetto mi regalava una nuova immagine che non era ne una mera radiografia ne un puro rayogramma, ma si manifestava davanti a me come se fosse un disegno tracciato sul muro.
Questa nuova visione mi ha fatto riflettere sulla parola grafia, e sul suo significato più puro e originario, portandomi a considerare quest’immagine luminosa e il suo legame diretto con la scrittura e quindi con l’incisione.

È appunto molto interessante a questo proposito la definizione di Rayogramma che compare nel dizionario del surrealismo, del 1938, probabilmente scritta dallo stesso Man Ray e che : “Fotografia ottenuta per semplice interposizione dell’oggetto fra la carta sensibile e la fonte luminosa.” Che poi prosegue “Colte nei momenti di distacco visivo, durante periodi di contatto emozionale, queste immagini sono ossidazioni di desideri fissati dalla luce e dalla chimica, organismi viventi.”