Chiara Bettazzi


The Tilt of Time

Chiara Bettazzi
THE TILT OF TIME
Istituto Europeo Design (IED) Firenze
a cura di Daria Filardo e Martino Margheri
1 ottobre – 17 dicembre 2023


Il progetto The Tilt of Time è coordinato da Daria Filardo (IED) e Martino Margheri (Fondazione Palazzo Strozzi) con lo sviluppo curatoriale dalla classe del Master 2022/23, Georgina Anastasi, Victoria Cassone, Hailey Conway, Patricia Hale-Siedler, Sneha Harish Chaturani, Solomiia Hrebeniak-Dubova, Alisa Kanevskiy, Catarina Mel, Emma Miles e Alexandra Skilnick.

Shift 2023, è un'installazione site-specific, dimensioni variabili che attraverso l’uso di oggetti provenienti dai magazzini di IED, ibridati con gli oggetti evocativi provenienti dallo studio, genera nuove forme capaci di sottolineare l’incontro tra piani temporali diversi e il senso di transitorietà della materia. La grande installazione restituisce nuova vita e equilibri agli oggetti, come una natura morta espansa che ci fa riflettere sul ruolo del tempo.



Chiara Bettazzi
In conversazione con: Catarina Mel, Emma Miles e Alexandra Skilnick

D - L’esposizione “The Tilt of Time” esplora la natura poliedrica ed intricata del tempo. Approfondendo questo concetto, c’è una parola con cui descriverebbe la sua essenza? E in che modo, questa parola, rispecchia la tua personale interpretazione del tempo nella tua pratica artistica?

Chiara Bettazzi - Forse la parola che in questo momento mi viene in mente è ciclicità. L’aspetto ciclico nel mio lavoro è caratterizzato da pause di sospensione che anticipano grandi movimenti di materia. Questo segna e crea raccolte di lavori, che in maniera molto evidente emerge nei cicli fotografici che realizzo.

D - Il titolo della nostra mostra è The Tilt of Time. Facendo riferimento al tuo lavoro, ci sembra che il tempo abbia come un'inclinazione fisica. Nelle tue installazioni è presente l’aspetto dell’equilibrio, della forza di gravità: un oggetto che si rompe nel corso della mostra è una possibilità nelle tue opere. Puoi spiegarci meglio questi aspetti?  

CB - Ogni cosa viene portata ad un tentativo di esaurimento, nel senso che viene vissuta e rivissuta fino allo sfinimento. Le mie istallazioni spesso mostrano equilibri precari di oggetti impilati, assemblati che possono cadere e rompersi. Questi accadimenti sono una specie di errori di percorso che nel mio lavoro esistono e sono colti come nuove possibilità e nuove immagini da trovare, quindi spesso le cose sono lasciate in maniera naturale allo scorrere del tempo. Ciò che si rompe muta nella forma e viene continuamente riutilizzato fino alla fine.



D - Per quanto riguarda i tuoi oggetti, diresti che la rinuncia al controllo dello scorrere del tempo è sempre stata intenzionale/voluta nel tuo lavoro? Se non è così, come è arrivato a questo punto?

CB - No, assolutamente… all’inizio erano dei piccoli traumi, le istallazioni accidentalmente crollavano, o perché qualcuno ci batteva contro, oppure da sole dopo un po’ di tempo collassavano, ma questo era vissuto come una sofferenza. Poi durante i vari montaggi e smontaggi, nelle occasioni degli allestimenti, direi soprattutto dopo il lavoro realizzato al Castello di Ama nel 2019, mi resi conto che i frammenti che producevo durante le rotture erano interessanti da riutilizzare. Ho capito bene in quel momento che nel mio lavoro non era importante l’oggetto in sé, ma ciò che diventava. Non ero attratta da un valore simbolico, ma dalla trasformazione della materia. Credo però, che anche il cambiamento del ruolo della fotografia nel mio processo lavorativo, abbia avuto un peso in questa cosa, sicuramente la fotografia mi ha reso più libera.

D - La tua installazione site-specific all'ingresso di IED è costituita da una collezione di oggetti e materiali provenienti dai magazzini di IED Firenze e da oggetti del tuo studio personale. Perché è importante per te trovare e includere oggetti legati allo spazio fisico della mostra oltre alla tua collezione personale?  Gli oggetti scelti a scuola come hanno influenzato la scelta degli oggetti del tuo studio?

CB - Quello a cui sto lavorando nei lavori più recenti è proprio questa nuova combinazione di oggetti “estranei” che si uniscono ai miei che porto sempre dal mio studio e che mi appartengono da anni. Il lavoro così si contamina di cose nuove, cambiando forma e trasformandosi tutte le volte in maniera diversa giungendo a inedite scoperte. La visione degli oggetti non utilizzati, presenti nei magazzini dello IED ha creato una sorta di lista fotografica, che mi serve nella fase di studio e preparazione all’istallazione, che prevede appunto la scelta di cose presenti nel mio archivio. La scelta avviene attraverso una sorta di richiamo reciproco e l’istallazione risulta così dall’unione di memorie diverse, formandone una collettiva. Questo modo di procedere per intuizioni, credo che rappresenti la maniera con cui entro in rapporto con lo spazio nuovo all’interno del quale sto lavorando, è un modo di dialogare con una nuova dimensione, creando anche uno scambio con le persone che lo abitano.

Testo - In dialogo con Chiara Bettazzi, IED, 2023 (PDF)